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Brand (new) places

Ovvero, “produrre un volto, o un abito, una gestualità, una mimica cittadina costruita, nuova, adatta ai tempi, adeguata, una sorta di galateo nei confronti del cittadino/utente” (Giovanni Anceschi, L’interfaccia delle città, 1994), oppure “indagare sulle cosiddette superfici d’uso urbane e sugli strumenti che una città dovrebbe adottare per costruire la propria corporate image system, come una fermata d’autobus, la segnaletica civica, ma anche un modulo dell’anagrafe comunale e in generale tutti quegli elementi che servono da tramite comunicativo tra l’Istituzione, il cittadino e il mittente. La superficie d’uso è costituita da tutti quegli oggetti che appartengono alla città, che la rendono accessibile e che ne comunicano il significato all’utente, sia esso interno o esterno all’ambiente” (Jean Marie Floch, Identità visive. Costruire l’identità a partire dai segni, 1997).

Visit Finland / sekdesign.fi

Prendete esempi come Melbourne, Berlino (Be Berlin) o Amsterdam (I Amsterdam). Sono esempi che hanno fatto scuola per coerenza, efficacia e soprattutto per un’attenta gestione del brand, che, sembrerà un’ovvietà, quando si parla di città di milioni di abitanti con interessi molto diversi (turistici, sociali, economici, culturali, politici) non è un fattore secondario. In Italia la situazione appare diversa.

Difficile capire chi debba incarnare la cabina di regia di simili operazioni (le Aziende di promozione turistica? Il Comune?) dal momento che raramente esistono (e funzionano) tavole rotonde aperte ai principali soggetti (interessi) cittadini in grado di organizzare e coadiuvare simili operazioni.

Difficile che un Comune italiano medio o grande abbia coscienza (e i dati, le linee strategiche, gli assetti urbanistici) di ciò che un brand dovrebbe incarnare, quale scopo perseguire, quali fattori urbani e sociali innescare e potenziare.

Perchè si tratta di processi pluriennali (la durata minima è lo spazio di una legislatura comunale) sui quali tutti i soggetti sensibili (che siano le associazioni no profit, le Fondazioni teatrali, le strutture preposte ad attrarre investimenti, ecc.) sarebbe opportuno potessero intervenire, è facile immaginare come questo sforzo collettivo debba essere gestito senza forzature, anche a fronte del considerevole investimento economico e lavorativo che richiede (che va ben oltre la creazione di un logo).

Ma il city branding può essere molto utile: può riuscire dove l’urbanistica e l’architettura purtroppo non possono (in Italia), creando spazi sociali nuovi e fluidi, ridefinendo uno stile che la città intera può sentire come proprio e sul quale far convergere nuovi slanci e potenzialità.

Può riuscire a dare un nuovo senso di comunità. E, percepito dall’esterno, la città può sembrare una buona destinazione per le vacanze, per studiare, investire o vivere.

Abbiamo affrontato un progetto simile con un Comune medio e possiamo, dall’esperienza sul campo, tracciare alcune best practices e alcune criticità che vi suggeriamo di tenere a mente, valide per chi commissiona il lavoro e per chi lo prende in carico:

The more is discussed,
the best you’ll face the crossfire

+ Attenzione alla distinzione tra city branding e corporate image del Comune o della Pubblica Amministrazione. Le due cose sono molto diverse. Nel primo caso il processo è più lungo e complesso perchè coinvolge tutti i soggetti cittadini e punta a creare un brand per l’intera città, nel secondo caso è il Comune o la Pubblica Amministrazione (e quindi il Sindaco, la Giunta, i dipendenti comunali, ecc.) e il modo in cui presenta ad essere al centro del discorso.  In molti progetti i piani sono confusi (il Comune che coincide con la città) creando enormi problemi poi nella gestione degli step di approvazione e veicolazione del progetto.

+ Provate ad adottare un approccio partecipativo. Questo approccio affonda le radici nella psicoanalisi e nella gestione in gruppo dei problem setting e dei problem solving (gli alcolisti anonimi o chiunque abbia dipendenze forti sa cosa vuol dire confrontarsi col gruppo e prendere decisioni insieme). Ha una gloriosa storia alle spalle e una vastissima letteratura: si va dal partecipatory design (degli anni ’60 e ’70, dove l’utente era politicamente coinvolto partecipando alla realizzazione del prodotto finale) al partecipatory video. Quindi la creazione di un gruppo di lavoro allargato che valuti e discuta le varie prospettive adottate è un ottimo modo per non far calare dall’alto decisioni che sarebbero sicuramente recepite in maniera ostile (come tutti i cambiamenti non annunciati).

+Infine, ricordate che un buon city branding deve essere efficace sia nelle mani del miglior designer sia nelle mani del più informaticamente e visivamente analfabeta. Nell’uso sarà sempre diverso da ciò che immaginavate (e da ciò che avete tassativamente proibito nel Manuale). Occorre dare al logo/visual identity massima flessibilità e semplicità di utilizzo. Il che non significa che debba essere povera o visivamente banale, ma deve saper adattarsi a tutto e a tutti, sempre e senza creare troppi problemi. E, vale per i designer, aspettatevi sempre domande su cose che pensavate ovvie, raramente siamo in grado di sapere spiegare bene i risultati del nostro lavoro. Quindi dettagliate tutto, spiegate, scrivete, presentate, divulgate fino alla nausea perchè non sarà mai sufficiente.

In pratica, quando si affronta un progetto di re-brand urbano le variabili e gli elementi da considerare sono innumerevoli, la maggior parte dei quali non emergeranno se non in corso d’opera o addirittura a distanza di anni. Perchè nessuna città (media o grande, quelle piccole non sembrano toccate dal fermento del city branding) o amministrazione pubblica può essere pronta a ri-definire se stessa in modo così radicale e strutturato da rendere il processo fluido o perfettamente governabile.

Anche qui, come per tutto, c’è un caso Italia e un caso internazionale, alcune possibili best practice e alcune forti criticità sia teoriche che operative, molto buon senso e moltissimi rischi.

Think Minsk / instid.org

+ Attenzione ad avere ben chiaro chi sono gli interlocutori e i soggetti da coinvolgere. Poiché ogni passaggio è fondamentale (il processo è progressivo, si costruisce su quanto si decide nello step precedente) è bene aver chiaro fin da subito un iter metodologico condiviso per l’approvazione e presentazione dei vari materiali. Chi decide? Come? In che modo si possono dare per assodate determinate scelte? Tra le diversissime opinioni che sorgeranno chi può fare sintesi e quindi dettare una linea adatta alle reali esigenze? Altrimenti metterete in discussione tutto ogni qualvolta emergerà una nuova opinione o un nuovo soggetto che non si era considerato.

+ Fissate degli step graduali di presentazione del progetto e dei materiali, di rilascio dei materiali (è impossibile sostituire tutto subito e ovunque) dando priorità e obiettivi. Se il progetto riguarda un Comune potreste ad esempio, creare una mailing list per i dipendenti comunali con la quale informate periodicamente sull’andamento del progetto e  sull’adozione dei materiali. Se riguarda una città ricordate che stakeholder, soggetti coinvolti, ecc. devono essere costantemente informati su tutto. Il rischio è che un soggetto non coinvolto e non informato (ma che avrà a che fare con i nuovi materiali) diventi un potenziale nemico del progetto. Addetti stampa molto attenti, evitate l’effetto lapidazione: se presentate un logo mai visto (o un progetto mai condiviso) sarete massacrati dal fuoco incrociato del Quanto è costato? Perchè quel colore? Chi l’ha fatto? Chi ha deciso?

Porto / whitestudio.pt

Guardate oltre. Ci sono città europee (anche piccole o marginali) che hanno basato il proprio brand sull’essere città gay friendly o eco sostenibile al 100%. Mettere in piedi un progetto così per promuovere il sole, il mare, le chiese rinascimentali e la buona tavola non è una buona idea. Al massimo attirerà le simpatie di qualche coppia olandese amante dell’Italia (che verrebbe comunque perchè ci viene da dieci anni) ma non sposterete di un millimetro il barometro dell’interesse nazionale e internazionale. Osate e ridefinite ciò che la città è, oggi, pensate a quanto multiculturale e accogliente può essere, a quali locali e quali attrattive può avere per un giovane francese, quali festival e manifestazioni nuove potete proporre al mondo. Allora si che avrà senso ri-definire un’immagine (oltre il secolare stemma araldico).