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Musica classica e comunicazione visiva

Nella percezione comune la musica classica è genere d’èlite, vecchio, statico, verboso, che poco si presta alla condivisione dell’esperienza (ad esempio tra amici). Tutto vero. O almeno questo sembra essere ciò che la classica oggi comunica (dato che la storia dell’arte spesso è storia della percezione e fruizione dell’arte). Di fronte a certe modalità di comunicazione, adottate dal 90% degli enti e fondazioni preposte alla diffusione della cultura musicale classica, è davvero difficile non dire “ovunque, ma non a concerto”. Alla base c’è un problema di disaffezione (o totale anafettività) giovanile e non, in punta c’è una dimenticanza collettiva (e politica, quando le orchestre cadono come mosche), affiancata dall’incapacità manifesta di molti soggetti, preposti alla divulgazione musicale.

# Contemporary practice / Studio Dumbar

# Radical practice / Sara Westermann, à Volta do Barroco (Casa da Musica)

+ I contenuti sono tutto, ma davvero tutto. Citiamo Nick Boaden (Head of marketing del West Yorkshire Playhouse): Non siamo nel business del “persuadere” le persone a vedere qualcosa dalla quale non possono ricevere nulla. Questo non aiuta nessuno. Lavoriamo con del materiale bellissimo ma spesso non sappiamo come raccontarlo. È davvero difficile trovare narrazioni interessanti a tema classico, qualcosa che racconti l’universo di una sinfonia, di un compositore, di un contesto storico e culturale. Le recensioni e le critiche spesso elencano freddamente nomi, date, storiografia e poco altro. Questo è tutto ciò che l’universo musicale ha da dire? Non sarebbe più interessante raccontare come Schubert ha scritto la Sinfonia Unvollendete, quale stato d’animo ha infuso nelle note e perchè? Fornire quindi un orientamento all’ascolto che non sia solo storiografico. Sarebbe come liquidare l’esperienza pittorica di Pollock con autore, data, tecnica esecutiva, conservazione dell’opera, scelta che non credo spingerebbe migliaia di persona a visitare una mostra.

+ La comunicazione musicale soffre di troppe mediazioni tra il pubblico e il messaggio: non basta la già citata fotografia a rappresentare l’esperienza.

Se la comunicazione è all’altezza del compito (contemporanea, chiara, diretta, curata e ben pensata) deve parlare al target spingendolo a diventare pubblico. Segmentare la comunicazione a seconda del target e del bacino è utilissimo.

Strumenti a livelli di approfondimento diverso, multi canale, in grado di veicolare messaggi diversi per target diversi (sotto l’ala di una comunicazione integrata e coerente). E non troppe informazioni, poche.

Ecco il tema del discorso: comunicare la musica classica. Che sembra l’unica tra tutte le arti (e non sono poche) a non aver mai fatto i conti con le trasformazioni in atto (nell’industria culturale, nella percezione e nella fruizione). Schubert sarà sempre Schubert, siamo d’accordo, ma la forma in cui Schubert viene percepito, ascoltato, divulgato, proposto? Sono davvero poche le riflessioni sull’argomento, spesso riassumibili in una triste scrollata di spalle (anche a ragione) contro l’ignoranza collettiva e il tradimento subito.

Noi, dalla semplice osservazione del presente, proviamo ad avanzare qualche considerazione, strettamente legata al nostro ambito, senz’altro molto marginale e tutt’altro che esaustivo.

+ Accanto alla sempiterna foto dell’orchestra (o del quartetto in posa) spiccano (ancora!) delle font con mille grazie, cosiddette eleganti, possibilmente in colori dorati e argentati, con sfondi in velluto rosso. Che sembrano snobbare con sdegno qualunque contributo (e messaggio) Schubert possa dare alla contemporaneità. Questo genere di comunicazione può essere efficace e rassicurante per un target già ampiamente acquisito, siamo d’accordo, ma dice anche molto (e dice cose poco lusinghiere) sul modo in cui l’Ente promotore considera attuale il messaggio schubertiano o mahleriano.

+ La musica classica, a causa di questo accanimento, possiede un repertorio visivo molto debole e ristretto dove ogni spazio di sperimentazione sembra morire sotto i colpi della tradizione (che si ostina a pensare che un pianista fotografato in primo piano sia sufficiente a suscitare“emozione”). Perchè non si possono utilizzare nuovi messaggi e canoni estetici per comunicare la musica? Perchè, in Italia, non sembra possibile lavorare attraverso metafore, elementi astratti, suggestioni visive? Forse perchè quello italiano è pubblico conservatore? Perchè nessuno sembra disposto a fare qualche piccolo compresso, proprio piccolo, giusto qualche esperimento per tentare di non intrappolare la divulgazione musica in una torre d’avorio?

mantovachamber

# Inter nos practice / Suqrepubliq, Mantova Chamber Music Festival 2013

 

“L’elemento del gioco, del movimento, della contorsione ludica, dell’unire cultura alta e cultura popolare è sempre stato patrimonio del lessico musicale, quindi abbiamo trovato giusto rendere visivamente questa dimensione come chiave di lettura della musica classica oggi”    

+ Dal punto di vista visivo abbiamo notato che una certa sperimentazione viene vissuta come riduttiva o addirittura fuorviante rispetto all’esperienza musicale. Come se la comunicazione potesse sovrastare l’opera e snaturarne l’impatto. Ma è ovvio che non sia così. La scelta di un colore, di un tema visivo, di una font può certamente spingere qualcuno (prima) a riconsiderare la propria opinione sull’anzianità del messaggio mahleriano, ma non può certo (durante) impedire a quella stessa persona di apprezzarne l’impeccabile esecuzione. Anzi, una comunicazione visiva che sappia trascinare Mahler verso la contemporaneità (unita ad un messaggio adeguato) non può che fare del bene alla diffusione e alla comprensione del repertorio musicale. Si tratta di adottare anche per la musica prospettive di storytelling che sappiano attualizzare il messaggio musicale.

A tentare non si perde nulla, ma si ha forse qualcosa da guadagnare.